top of page

Salvi: «Class action ma non all'americana»

  • Immagine del redattore: Radicali Roma
    Radicali Roma
  • 27 nov 2006
  • Tempo di lettura: 4 min

Prima «dovrà toccare al­le banche e le assicura­zioni, poi verrà estesa a tutti gli altri settori». Cesare Salvi, senatore diessino e presidente della Com­missione giustizia di Palazzo Madama dove la legge per intro­durre la possibilità di fare cause collettive (class action ) dovrà ar­rivare dopo l’approvazione del­la Camera, ritiene che il testo predisposto dal governo vada modificato profondamente «per evitare un eccesso di litigio­sità come è accaduto negli Usa». «Si tratta di una vera e pro­pria rivoluzione nell’economia ma bisogna stare attenti a non fare pasticci, ìnsomma meglio evitare l’effetto taxi».   In che senso pasticci…«Anche negli Stati Uniti, dove la class action è nata nel 1930, è in corso un ripensamento legi­slativo proprio sul connubio tra il patto di quota-lite e il loro si­stema risarcitorio. Quindi stia­mo attenti a importare il model­lo americano senza tener conto di queste critiche e delle profon­de differenze tra i due sistemi. In pratica, negli Usa, la gran par­te delle cause supermiliardarie alla fine ha arricchito gli avvoca­ti più che risarcire i consumato­ri».   Un passo indietro. Cosa in­tende per quota-lite?«È così chiamata la legge, ap­provata nello scorso agosto, che prevede l’abolizione del divieto del patto di quota-lite. Vale a di­re il divieto che finora impediva ai professionisti, avvocati com­presi, di pattuire compensi parametrati al risultato del proces­so».   E lei cosa suggerisce?«Secondo me andrebbe previ­sto un sistema diverso dalla quota-lite per le azioni colletti­ve».   Ci sono ben sei proposte di legge sulla class action. Può spiegare come stanno le cose?«Tra queste c’è un testo di legge del governo che sostanzial­mente ricalca quello bipartisan approvato nella scorsa legislatu­ra dalla sola Camera dei deputa­ti. Gli altri si ispirano a iniziati­ve parlamentari della maggio­ranza e dell’opposizione. In gio­co ci sono due modelli: uno, adottato dal governo, che con­sente l’avvio dell’azione risarcitoria solo da parte di soggetti collettivi come le associazioni di consumatori, le camere di commercio, le associazioni di professionisti (che non è ben chiaro cosa siano). L’altro, più vicino al modello americano, permette l’azione a chiunque vi abbia interesse, compresi i sin­goli individui. In quest’ultima direzione è interessante la pro­posta fatta da Daniele Capezzone».   Può fare un esempio?«Quello più chiaro riguarda il prodotto medicinale difettoso. Il giudice può stabilire, a fronte di un singolo promotore, l’azio­ne risarcitoria per tutti quelli che possono dimostrare di ave­re subito danni da quella medi­cina».   Perché il modello america­no è di difficile importazione?«Il motivo sta nelle profonde differenze giuridiche tra il siste­ma anglosassone e quello euro­peo. Da noi, per esempio, il giu­dicato vale solo tra le parti, men­tre nel sistema americano il giu­dicato riguarda tutte le persone coinvolte in quella classe di dan­ni anche se non sono state chia­mate in causa. Questo si può fa­re perché il giudice americano ha molti più poteri del nostro: è lui, per esempio, che valuta se il numero dei consumatori coin­volti ha attendibilità o meno sul piano della rappresentatività. Da noi, poi, c’è l’articolo 24 del­la Costituzione il quale prevede che tutti hanno diritto ad agire in giudizio».   E cosa propone la legge in di­scussione?«Il testo di legge bipartisan prevede che l’azione risarcito­ria debba partire dalle associa­zioni riconosciute.  Poi è nato il quesito: ma la causa produce ef­fetti solo per loro o per tutti i consumatori? Per tentare di ri­solverlo è stato allestito un mec­canismo a tre fasi. Prima l’azio­ne promossa dalle associazioni, poi un tentativo di pace concilia­tiva, poi l’azione dei singoli con­sumatori. È un sistema molto complesso e macchinoso che, vista la situazione della giusti­zia italiana, può comportare tempi lunghissimi. Insomma, come si vede, ci sono molti aspetti sui quali riflettere».   Perché sotto il governo Berlusconi, la vecchia legge sulla Class Action si è arenata al Se­nato?«La hanno affossata le lobby, preoccupate dall’introduzione di meccanismi di questo tipo ol­tre alle difficoltà tecniche di cui parlavo. Ora bisogna procedere ma la mia opinione è che il te­sto del governo vada modificato profondamente».   L’Europa come si sta muo­vendo?«La Francia e la Germania stanno varando anche loro una legislazione modellata sul dirit­to europeo ed hanno esattamen­te i nostri problemi: fare una leg­ge che sia funzionale ed efficace e non persecutoria. E con una procedura snella e semplice per non intasare i tribunali».   È vero che lei sostiene una introduzione graduale della class action?«Sì. Sono convinto che do­vremmo prima partire da setto­ri, diciamo così laboratorio, co­me le banche e le assicurazioni. Così com’è scritto adesso il te­sto di legge è troppo generaliz­zato. Potrebbe, faccio una ipote­si estrema, consentire anche a un gruppo di condomini di agi­re contro il negoziante sotto ca­sa».   Lei prima citava le lobby. Quali sono e in che modo si so­no mosse per stoppare la leg­ge?«Tutte le categorie della gran­de industria hanno sollevato ec­cezioni tecnico-giuridico che peraltro vanno ascoltate. Ma non possono fare come Bertoldo che non trovava mai l’albero a cui impiccarsi. Devono essere propositive perché la legge va fatta ed è giusto che si faccia per tutelare i consumatori oggi in una condizione di estrema de­bolezza rispetto al potere della grande impresa». Viste tutte queste difficoltà, la legge riuscirà a vedere la lu­ce entro il 2007?«Secondo me sì, ancora qualche mese e la legge verrà appro­vata. Basta non farsi prendere né dall’entusiasmo né subire le resistenze».   Lei ha detto che occorre evi­tare l’effetto taxi. È una critica al ministro dello Sviluppo Pierluigi Bersani ?«No. Il ministro Bersani e il governo nel suo insieme hanno avuto il grande merito di porre per la prima volta il consumatore al centro dell’azione legislati­va. Ma non dimentichiamo che se poi i meccanismi non funzio­nano c’è il contraccolpo negati­vo. Le cose vanno dunque fatte bene».   Secondo lei la class action modello italiano potrà coinvol­gere i risparmiatori colpiti dai bond Parmalat e Cirio?«Potrebbe farlo. Non ci sono ostacoli costituzionali. Serve pe­rò una disciplina transitoria, es­sendoci processi già in corso».

 
 
 

Commenti


bottom of page