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“Vincere” di Marco Bellocchio: amarsi, e ci ameremo!

  • Immagine del redattore: Radicali Roma
    Radicali Roma
  • 31 mag 2009
  • Tempo di lettura: 2 min

“Vincere” di Marco Bellocchio: amarsi, e ci ameremo!

Perché Ida Dalser ha amato per tutta la vita proprio Benito Mussolini?

La scelta della persona amata obbedisce a leggi, magari imperscrutabili a chi ama.

Ed è sulla logica segreta del legame amoroso che si basa, a mio parere, la ricostruzione immaginaria di Bellocchio, della loro storia.

I due si conobbero in gioventù, quando Mussolini era direttore dell’”Avanti!”.

E dopo essersi sposati e aver avuto un figlio, si separarono, per decisione dell’uomo. Ma la Dalser continuò testardamente a restargli fedele; a fargli scenate presentandosi a lui insieme al figlio; a rivendicare a chiunque di essere la moglie di Mussolini e la madre del suo primogenito. Tanto che, per evitare lo scandalo e far cessare quella persecuzione, il Duce e i suoi fedeli, internarono la donna in un manicomio, e affidarono il bambino a un orfanotrofio.

C’è nella Dalser, la scintilla del ribelle eroico, che a ogni costo, esponendosi anche solo contro il Potere, afferma la propria verità e i propri diritti.

C’è anche in lei il sentimento di essere predestinata a una vita superiore a quella della gente comune (essere, appunto, la moglie del Duce!)

E c’è una fissazione delirante: che Mussolini continui ad amarla; che il manicomio e le interdizioni non siano che durissime prove d’amore, da sopportare stoicamente; al termine delle quali, come premio, l’uomo la richiamerà al suo fianco.

Ma un momento: ribellismo, “superomismo”, perdita del contatto con la realtà… Non sono forse questi alcuni tratti salienti del personaggio e della vicenda storica di Mussolini?

La Dalser sembra un po’ un suo doppio, trasposto in un ambito tutto privato e femminile; che per questo, una società così superbamente (e ridicolmente) virilista, ha relegato nell’ombra e nella vergogna; mentre ha esaltato a lungo, in piena luce, il suo omologo maschile.

L’aspetto più vero del film di Bellocchio è proprio questo intimo, narcisistico rispecchiamento della donna con Mussolini.

Quando invece il film affronta direttamente quest’ultimo – mettendone in feroce caricatura la “volontà di potenza”, l’aggressività bovina, le rozze provocazioni pubbliche – perde mordente.

Bellocchio è bravo nelle caricature sarcastiche. Si è potuto anche recentemente apprezzare questo aspetto del suo talento alle prese con il rigorismo ideologico dei terroristi di “Buongiorno, notte!”; o con il cattolicesimo stucchevole, soltanto superficialmente aggiornato, della cerimonia nuziale del “Regista di matrimoni”. Qui però il bersaglio polemico è così inattuale, che i suoi raffinati petardi scoppiano a vuoto.

 
 
 

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